Pieces of light, di Charles Fernyhough Inspire article

Tradotto da Attilia Dente. Sottotitolato “The new science of memory”, il libro è l’edizione tascabile di un titolo che è apparso per la priva volta nel Regno Unito nel 2012 ricevendo numerosi riconoscimenti.

Nel libro coesistono ricerca a tavolino e riflessioni. Al contempo, l’autore tenta anche di costruire un resoconto romanzato di una materia che affascina tutti, ma la cui spiegazione resta ancora un mistero ben lontano dall’essere svelato. A Charles Fernyhough, scrittore e professore part-time di psicologia, va il merito di essere andato un po’ oltre, gettando “frammenti di luce” su questo mistero.

Pieces of light è un’opera insolita, e non poteva essere altrimenti, essendo stata scritta da un autore “insolito”. La scrittura di  Fernyhough è coinvolgente, le pagine sono pregne di aneddoti personali, illustrazioni tratte dalla letteratura e interessanti case-study che rendono un testo in un certo qual modo accademico più gradevole per i lettori interessati. D’altro canto, nonostante il libro sia “in un certo qual modo accademico” e contenga la parola “scienza” nel suo sottotitolo, i contenuti scientifici non sono facili da rintracciare. Infatti, non può essere definito “un libro di scienze” nel vero senso della parola.

Per Fernyhough lo studio della memoria rientra nella psicologia ovvero nella psicologia cognitiva, ma sembra che lo dia per scontato nella sua mente e in quella dei suoi lettori. Non sono riuscito a trovare un’affermazione formale, una spiegazione o ancora un’ambientazione scientifica in Pieces of light, nonostante la mia analisi piuttosto attenta e l’indice di Fernyhough molto dettagliato e in linea generale accurato.

Alcuni studiosi analizzano la memoria osservandola dalla prospettiva della psicologia, o meglio delle neuroscienze. Fernyhough, dal canto suo, non ignora questo passaggio, tuttavia le citazioni pertinenti sono poche e di scarso rilievo. I riferimenti alla psicologia sono disseminati quasi casualmente in tutto il libro. C’è da dire che in tutte quelle pagine stampate in caratteri piccoli si trova una sola foto, di natura scientifica, inserita dopo il testo e prima delle note. L’immagine raffigura e classifica le parti più importanti del cervello; tuttavia, quelle parti non sono elencate nell’indice e sembra che il testo faccia riferimento all’immagine solo una volta e in modo del tutto casuale.

Per molti studiosi della memoria (e io non credo di rientrare nella categoria), siano essi psicologi o neuroscienziati, il messaggio chiave è che la memoria comprende quei fenomeni coinvolti nei sistemi del cervello responsabili di

  1. recezione, elaborazione e codifica di una buona parte delle informazioni;
  2. immagazzinamento e consolidamento del codice, all’occorrenza riconsolidamento del codice;
  3. recupero del codice.

Il messaggio chiave di Fernyhough è molto diverso ed è chiaro fin dall’incipit: “Voglio convincervi del fatto che quando avete una memoria [..] create qualcosa di nuovo […] L’azione del ricordare ha luogo al tempo presente. Essa richiede la precisa coordinazione di […] processi cognitivi, suddivisi tra molte altre funzioni mentali e distribuiti nelle diverse regioni del cervello.”

Nella pratica, in Pieces of light si legge che quando ricordiamo qualcosa, o almeno qualcosa di autobiografico e personale, il nostro cervello costruisce la memoria lungo le linee del “questo è quello che deve essere successo”. Pensiamo a degli esempi: come diverse persone sedute in un’auto ricordano in modo differente un incidente accaduto davanti ai loro occhi; come le persone coinvolte in una conversazione discutono poi della decisione finale; oppure come parlare di una vecchia foto di famiglia rievoca ricordi contrastanti su quella vacanza.

In verità, non c’è nulla di nuovo nel concetto che la memoria è ben lontana dall’essere un oggetto, sia che venga osservata da un punto di vista psicologico o neuroscientifico. E il concetto di ciò che chiamiamo ricordo creativo? Questa è tutta un’altra storia, piuttosto lunga. Ed è una storia su cui le 280 pagine di testo Fernyhough, scritto in caratteri troppo piccoli e quindi difficili da leggere, e una quarantina di note non aggiungono molto ai fini di una prova concreta. Inoltre, ciò che maggiormente non condivido è il fatto che la malattia dell’Alzheimer venga citata solo un paio di volte, allo stesso modo dell’amnesia e di altre forme di perdita della memoria; in realtà, è trattato molto sommariamente anche il tema della memoria a breve e a lungo termine. 

Tutto il libro è una dissertazione sulla “memoria autobiografica”, ovvero il ricordo di ciò che è accaduto all’individuo nel passato. Non si applica al ricordo di avvenimenti e principi né dei processi acquisiti: tutti quei tipi di memoria che maggiormente interessano i lettori di Science in school. Fernyhough non spiega perché la memoria autobiografica si differenzi così tanto da quella non impressa nel cervello ma “creata” durante il ricordo; né spiega perché l’evoluzione abbia (probabilmente) portato a un sistema di ricordi così imperfetto che di certo non può migliorare la sopravvivenza della specie. Ma tutte queste sono domande a cui risponde la scienza, e questo non è un libro di scienze.

Pieces of light è senza dubbio un libro insolito, che difficilmente si consiglierebbe di riporre tra gli scaffali delle biblioteche delle scuole o dei college dai 16 anni in su con studenti di scienze o di psicologia. Tuttavia lo consiglio vivamente per quelle biblioteche frequentate da insegnanti di scienze e/o di studi generali e/o di filosofia che desiderano incoraggiare una lettura e una riflessione interculturali, persino iconoclastiche.

Dettagli

Casa editrice: Profile Books
Anno di pubblicazione: 2013
ISBN: 978-1-8466-844-94


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